Da un po’ di tempo alcune persone, che abitavano in un borgo nelle vicinanze di Trecenta, piccola cittadina in provincia di Rovigo, andavano dicendo di vedere il fantasma di una bambina sulla riva di uno stagno adiacente ad una vecchia casa, ormai disabitata da tanti anni. Le testimonianze di coloro che ebbero modo di vederla dicono che si presentava quasi tutte le sere in un vestitino bianco, quasi luminoso, col viso dolcissimo e restava ferma immobile vicino allo stagno per molto tempo, richiamando così l’attenzione di chi passava in quel luogo così poco trafficato. Allo spavento iniziale si andava ad aggiungere la preoccupazione e la curiosità per una presenza alla quale non sapevano dare una spiegazione e più di qualcuno aveva paura di passare di là nelle ore notturne. Quella presenza stava comunque mandando dei messaggi ma che rimanevano incomprensibili. Qualcuno avanzò l’ipotesi che potesse trattarsi dello spettro di una bambina morta annegata in quelle acque molti anni prima.
Della notizia viene a conoscenza Anna, una signora semplice e tranquilla, che possiede capacità sensitive non comuni. Più che incuriosita si sente attratta dall’evento e sente il bisogno di recarsi là, in quel posto dove la bambina continua a mostrarsi. Chiese quindi al marito di accompagnarla in quel luogo all’imbrunire e una volta giunta sul posto si fermò sulla riva dello stagno e aspettò. L’attesa non fu lunga. Le poche notizie che ho sull’evento dicono che la bambina uscì dall’acqua, si fermò sul solito posto e con voce triste rivolta ad Anna disse:
”Mi chiamo …e sono chiusa dentro la casa, non posso uscire…puoi aiutami per favore?…” e poi aggiunse qualche altra cosa della quale non sono stato messo a conoscenza. Anna si congedò dalla giovinetta con un tenero saluto e una promessa.
Nei giorni a seguire Anna si diede un gran da fare e seguendo le dovute procedure burocratiche e richiedendo alcuni permessi entrò in quella casa accompagnata da delle persone autorizzate. Indicò loro, naturalmente sorpresi dalla richiesta, una parete da abbattere, e quando il varco fu sufficientemente grande da potervi guardare oltre, lo stupore e lo sdegno li avvolse in un mutismo irreale. In uno stanzino dalle dimensioni ridottissime, un vestitino bianco copriva i resti di una bambina che aveva trovato la morte in condizioni indescrivibili, rannicchiata su se stessa e dimenticata nel tempo. Quella piccola creatura era stata con molte probabilità murata ancora in vita.
Da quello che so nessuno mai si è interessato a fare luce sul caso. Ai poveri resti fu data cristiana sepoltura e da allora la bambina non si è più mostrata a nessuno.
Dino Colognesi ( Racconto estrapolato da:Centro Accademico Studi Ufologici ).
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Uno strano caso fotografico.
Verso la metà degli anni ottanta, in una cittadina del Rodigino, fervevano i preparativi per l’inaugurazione di un nuovo negozio di oggettistica e articoli da regalo. L’evento era importante sia per la sofisticata struttura dell’ambiente, sia per l’elevata qualità del prodotto che proponeva. Quando tutto fu pronto, arrivò sul posto una troupe televisiva per effettuare delle riprese e preparare un filmato che doveva poi essere proiettato, come messaggio pubblicitario, in alcune sale cinematografiche della zona. Il giorno successivo intervenne anche un fotografo di professione per preparare un servizio che sarebbe stato inserito in una rivista specializzate del settore. Ed è stato proprio in quel giorno che accadde qualche cosa di insolito e senza una spiegazione scientifica. Il professionista posizionò tutta l’attrezzatura e iniziò il suo lavoro. I dati tecnici, le valutazioni, i calcoli, lo studio delle varie angolazioni facevano capire che ci sarebbe voluta l’intera giornata per portare a termine un buon lavoro. Renzo, nome fittizio, che per questione di privacy sostituirà il vero nome, lavorava come commesso nel negozio e aiutava nel limite del possibile il fotografo. Verso le diciassette il professionista disse a Renzo di tenersi pronto perché sarebbe stato inserito in alcune foto che avrebbe fatto di li a poco. Al momento opportuno, il fotografo invitò Renzo a portarsi vicino ad uno scaffale nel quale erano esposti dei calici in cristallo, a portare la mano su uno di essi e a restare fermo immobile. Scattò tre foto da posizioni diverse, poi ordinò a Renzo di portarsi al centro della sala con il calice in mano e di restare ancora una volta fermo immobile. Il fotografo scattò altre tre foto, poi Renzo si spostò dalla parte opposta e raggiunto un vassoio d’argento vi depositò il calice rimanendo ancora una volta immobile per permettere al professionista di fare altri tre scatti. Il servizio fotografico terminò intorno alle venti con gli ultimi scatti alle vetrine illuminate. Il fotografo si congedò dopo una lunga ed estenuante giornata ma visibilmente soddisfatto per il lavoro svolto.
Una decina di giorni dopo, si presentò grattandosi la testa e continuando a ripetere una frase che non prometteva niente di buono: “Mai successa una cosa del genere, è assurdo, in tanti anni di professione non mi è mai successo, non riesco a capire”. Il titolare del negozio e Renzo, sorpresi dall’inconsueto atteggiamento del fotografo, chiesero preoccupati che cosa fosse accaduto, temendo per il buon risultato delle foto. Scuotendo la testa, depositò la borsa sul tavolo e sfilò una voluminosa cartella contenente tutto il materiale, selezionò alcune foto e le depose davanti ai due. Questi le guardarono in assoluto silenzio, poi si scambiarono una rapida occhiata e tornarono a riguardarle chiedendosi che cosa ci fosse di tanto strano in quelle immagini apparentemente perfette. Il fotografo sorpreso rispose: “ Ma non vedete? Guardate bene!”. Il titolare e Renzo riguardarono le foto con più attenzione ma ancora non riuscivano a comprendere. I colori erano bellissimi, la luminosità perfetta, la nitidezza eccezionale, erano a tutti gli effetti delle gran belle foto. Ma mancava qualche cosa. In quelle nove pose mancava Renzo. “Vedete?” aggiunse il fotografo, “…il calice che Renzo teneva in mano c’è, è lì al suo posto e in queste altre vedete il calice sul vassoio? Il calice c’è ma Renzo che lo teneva con la mano non c’è! Io non me lo spiego, non è possibile, o esce tutto o non esce niente!”. Il fotografo aggiunse che aveva poi controllato e ricontrollato tutti i negativi, le varie pose, i numeri dei negativi con i relativi sviluppi, tutto coincideva, tutto era regolare tranne quel piccolo particolare.
Renzo, per niente preoccupato e comunque ignaro di quello che poteva essere accaduto, disse scherzosamente che in seguito sarebbe andato dal medico a farsi visitare.
La documentazione fotografica era comunque sufficiente per essere spedita alla direzione della rivista ma il professionista se ne andò con il viso tirato e visibilmente contrariato per non essere riuscito a trovare una risposta su quanto era successo.
Qualche tempo dopo, su consiglio di alcuni amici, Renzo si avvicinò al fenomeno ufologico, più per curiosità che per cercare delle risposte. Con alcuni amici, membri dell’USAC, si recò anche ad un convegno Internazionale di ufologia che si teneva a San Marino e in quell’occasione ebbe modo di assistere ad una conferenza di un noto ricercatore Americano che portò a conoscenza un caso accaduto negli Stati Uniti dove in una foto mancava una persona che al momento dello scatto si trovava con un gruppo di amici davanti alla macchina fotografica.
Il relatore parlò a lungo di quel caso e aggiunse che in seguito la persona che mancava in quella foto fu sottoposta ad ipnosi e durante le varie sedute portò alla luce tutti i retroscena della sua allucinante esperienza. Il ricercatore spiegava inoltre che senza ombra di dubbio vi sono molti altri casi analoghi, non documentati da foto, dove il soggetto rimane visibile ai presenti mentre nella realtà si trova da tutt’altra parte. Renzo non fu particolarmente colpito dalle affermazioni del relatore, ritenendo che il suo caso non avesse niente a che fare con quello appena esposto dall’illustre ricercatore. Nei giorni a seguire però, Renzo pensò più volte a quelle foto e a quello che raccontavano. Le vedeva e le rivedeva nella sua mente ma c’era un particolare che non riusciva a mettere a fuoco sopratutto per la scarsa importanza che gli aveva dato al momento dei fatti.
Lui stava considerando la possibilità che se nelle prime tre foto era ben evidente il calice di cristallo che teneva in mano sul lato destro della sala e le ultime tre evidenziavano il calice che teneva appoggiato sul vassoio d’argento, in teoria le altre tre foto, che lo avevano ripreso al centro della sala, dovevano mostrare un calice fermo a mezz’aria!
Questo particolare incuriosì particolarmente Renzo tanto che dopo qualche giorno si recò dall’ormai ex datore di lavoro per chiedergli di farsi mostrare le fotografie. Il titolare acconsentì, anche per il buon rapporto di amicizia tra i due e promise che il giorno successivo poteva ritirarle in negozio. Il pomeriggio del giorno successivo, Renzo si recò in negozio e ancora prima del saluto, il titolare, avvicinandosi con aria preoccupata, lo informò che tutto il materiale fotografico, compresi i negativi, erano spariti. Lui e la moglie avevano rovistato dappertutto, anche se erano certi che le foto dovevano trovarsi in un apposito cassetto dove da sempre conservavano solo materiale fotografico. Il titolare tradiva una buona dose di nervosismo mentre parlava, anche perché a quelle foto ci teneva in maniera particolare. Erano la testimonianza di un bell’evento, di qualche cosa di importante, di un obiettivo raggiunto dopo tanti anni di lavoro. Disse a Renzo di ripassare dopo qualche giorno perché avrebbe continuato a cercare quelle foto tanto care, ma credo sia inutile dire che non sono mai più state ritrovate.
La delusione di Renzo era evidente, in quelle foto sperava di ritrovare qualche particolare che lo avrebbe aiutato, qualche ricordo perduto anche se non una risposta plausibile. Quando chiesi a Renzo se al momento del servizio fotografico avesse avuto qualche inspiegabile sensazione o percepito qualche cosa di strano, mi rispose che si trovò estremamente a disagio al momento delle foto, ma niente di più. Nel passato di Renzo si erano già verificati eventi ed esperienze non comuni, raccolti di recente dagli inquirenti dell’USAC.
Dino Colognesi.
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Lorena e il mistero della cantina.
di Dino Colognesi.
L’esperienza vissuta da Lorena è incredibile e per diverso tempo ha sconvolto la sua vita. I fatti risalgono al 1984 a quando Laura, una sua cara amica, andava ad abitare a Villa Estense. Sposata, originaria di Este, si accontentava di vivere per un po’ di tempo in una casa molto vecchia e nella quale, nel corso degli anni, non sono mai stati fatti lavori di restauro o di manutenzione. I pavimenti sono di pietra, i solai di tavole sono sorretti da travi di legno e l’intero ambiente viene riscaldato da una stufa a legna. Ad un lato della casa erbacce e sterpaglie impediscono di avvicinarsi per vedere dei balconi chiusi, sprangati e chiodati.
Non viene stipulato un vero e proprio contratto d’affitto. Comunque alcuni punti sono alquanto discutibili e uno dei quali dice che nessuno, nemmeno lei, può avere accesso ad alcune stanze dell’abitazione. Non può usufruire neppure di uno dei due locali esterni adibito a cantina e così pure dell’ampio scoperto davanti alla casa, coltivato ad orto, e dove al centro sorge un vecchio pozzo.
Laura confessa a Lorena che in quella casa non si sente tranquilla, che nell’aria c’è qualche cosa di strano e che ha paura. Alla coppia nasce un figlio che ben presto da segni di irrequietudine. Capita spesso che si alza di scatto e scappa piangendo cercando di far capire di essere stato molestato da qualch’uno che solo lui comunque riesce a vedere.
Laura un giorno deve uscire e chiede all’amica di assistere il bambino. Lorena, per tutto il tempo, ha l’impressione che una presenza invisibile le stia continuamente girando intorno sfiorandola, osservandola e mettendola a disagio.
Dopo qualche tempo sono in casa da sole quando Lorena chiede con insistenza all’amica di far visita ad una delle stanze chiuse. Tolgono con fatica il grosso filo metallico che blocca la porta e mentre varcano la soglia hanno l’ impressione di fare un salto indietro nel tempo e la netta sensazione di non essere da sole in quel posto.
Hanno il tempo sufficiente per vedere una vecchia sedia a dondolo che occupa il centro della stanza, mobili pieni di polvere, finestre senza le tende ed enormi ragnatele che pendono dal soffitto, poi, l’atmosfera gelida e la strana presenza le fanno desistere, costringendole ad uscire precipitosamente. Provano allora a togliere i chiodi, che bloccano la porta di una delle altre stanze al piano superiore, ma dopo vari ed inutili tentativi rinunciano.
Una notte, poco tempo dopo quella furtiva ispezione, Lorena fa un sogno allucinante. Nel sogno si avvicina alla porta della cantina, toglie i chiodi e le assi che la bloccano ed entra. Improvvisamente la stanza viene avvolta da una luce intensa, irreale, fortissima e vede un grosso coltello conficcato nel muro dal quale esce copioso del sangue mentre una macchia rossa si allarga sulla parete.
Terrorizzata cerca di fuggire ma una forza oscura glielo impedisce costringendola ad assistere a quella diabolica, terribile ed assurda visione.
Quando si sveglia è seduta sul suo letto, tremante e con le mani tra i capelli sta gridando disperatamente.
Nei giorni che seguono si convince sempre di più che una parte di lei sia realmente stata in quella cantina mentre il sogno continua a tormentarla ma preferisce non raccontarlo a nessuno, nemmeno alla sua amica.
Il pomeriggio di una fredda e nebbiosa domenica d’autunno, Lorena si trova a casa di Laura con diversi altri amici. Giocano a carte fino a sera quando decidono di andare a mangiare una pizza tutti insieme. Lorena si affaccia alla finestra e vede una luce che trapela da alcune fessure della porta della cantina e chiede a Laura se qualcuno è potuto entrare dimenticando poi la luce accesa ma l’amica risponde che nessuno può entrare in quella stanza e che non l’ha mai fatto neppure il proprietario. Mentre tutti si affacciano alla finestra incuriositi la porta si sta schiudendo lentamente lasciando passare una fascia di luce intensa, fortissima, irreale che squarcia la fitta nebbia della sera. Rimangono ad osservare per un po’ quell’insolito evento poi uno dei ragazzi si fa coraggio ed incita anche gli altri ad andare a vedere.
Si vestono, escono ed avanzano timidamente a piccoli passi verso quella luce fortissima per poi scomparire dentro la cantina.
Vi rimangono qualche minuto e quando rientrano in casa sono pallidi, smarriti e nessuno di loro parla. Alle insistenti domande delle ragazze uno di loro risponde che ci deve essere stato un cortocircuito e che la luce era talmente forte che non si riusciva a vedere niente. Poi, il ragazzo che accompagna Lorena, chiede insistentemente di tornare a casa. Lorena capisce che in quella cantina è successo qualche cosa di insolito e sulla strada del ritorno chiede più volte al ragazzo di parlare fino a quando, con voce tremante e ancora visibilmente scosso, racconta la sua agghiacciante esperienza.
Un grosso coltello è conficcato nel muro dal quale esce copioso del sangue mentre una macchia rossa si allarga sulla parete. La stanza è avvolta da una intensa luce irreale mentre una forza oscura li immobilizza costringendoli ad assistere a quella assurda e sconvolgente visione.
Lorena rabbrividisce. Nessuno di loro era a conoscenza del suo sogno.
Da quella cupa domenica d’autunno Lorena non è più andata a casa dell’amica fino a quando, qualche tempo dopo, una telefonata della stessa le chiede di farsi vedere perché ha bisogno di parlarle. Quando arriva trova Laura sorpresa della visita e, agitata e confusa, giura di non avere mai fatto quella telefonata. Da quel giorno non si sono mai più riviste.
Ancora oggi Lorena deve trovare una risposta ai suoi interrogativi. Il sogno, la cantina, il sangue, la luce, che cosa volevano dire? Si trattava forse del messaggio incompreso di un’anima perduta? Il tentativo di portare alla luce un’atrocità consumata e nascosta in un angolo buio dimenticato nel tempo? O più semplicemente l’opera di uno spiritello vispo ed intollerante nei confronti di inquilini indesiderati.
La chiave dell’enigma probabilmente l’ha avuta tra le mani ma non ha saputo usarla. Comunque sia il mistero resterà tale, racchiuso segretamente tra le vecchie mura di quella casa.